Coop Himmelb(l)au… Strane nuvole.
Ancora
una volta fu grazie alla celeberrima mostra sul Decostruttivismo
voluta da Philip Johnson e Mark
Wingley al Moma che i Coop Himmelb(l)au furono annoverati al gotha
delle achistar. In quella mostra erano presenti la prima casa di
Ghery, i college di Libeskind,
le ipotesi urbane di Koolhaas,
Eisemman, la Hadid, e Tschumi, tutti accomunati da un’architettura
fatta di forme libere, geometrie complesse e irregolari, e da una
rivolta nei confronti del “fare” architettonico in modo
accademico, classico e storico.
I
Coop Himmelb(l)au erano una cooperativa di progettisti nati nel 1968
da Wolf D. Prix, Helmut Swiczinsky e Michael Holzer, che si
prefiggevano di rivoluzionare la pratica professionale. Sospesi tra
arte e architettura, pensavano ad una contaminazione tra le due
discipline, ed ogni loro gesto performativo si muoveva nella città
di Vienna, i cui Azionisti Viennesi stavano dando una grossa scossa
all’arte contemporanea.
Facevano
parte della cosidetta architettura radicale, etichetta che mischiava
design e arte concettuale, ingegneria e fantascienza, performance e
contestazione studentesca. I Coop Himmelb(l)au assieme ai Italiani
Achizoom, Superstudio, Ufo; gli austriaci Haus-Rucker-Co e Missing
Link; non pensarono ad uno studio ma ad una cooperativa tipico degli
ideali socialisti del periodo, cooperazione, scambio di idee, dialogo
tra diversi punti di vista. Da subito il loro nome rimanda al cielo e
all’azzurro che in italiano si potrebbe tradurre: “la cooperativa
del blu del cielo” se lasciamo la “l” tra parentesi, e se la
togliamo diventa: “la cooperativa del costruire in cielo”
(bauen=costruire).
E
proprio dal cielo le loro prime performance presero spunto, le
nuvole, (fig. 1) un elemento che li accompagnerà per tutto il loro
lavoro architettonico saranno le principali fonti di ispirazione.
I
loro primi progetti sono fatti d’aria, si tratta di piccoli moduli
abitativi di plastica gonfiabili, all’occorrenza da mettere in una
valigia. The cloud e Villa Rosa (fig. 2,3) i loro primi esperimenti
progettuali.
Fig. 2. The cloud. Modello
Modello.Fig. 3 Villa Rosa. Progetto.
Fig. 2. The cloud. Modello
Modello.Fig. 3 Villa Rosa. Progetto.
Bisogna
però attendere un pò di anni perchè il successo dei Coop
Himmelb(l)au si consolidi e diventino esse stesse icone di uno stile
e paladini di una certa architettura del neoconsumismo.
È
nell’1988 che progettano una scultura spaziale a Rotterdam in cui
già sono presenti molte tematiche del gruppo, (fig. 4) in questa
scultura, si sovvertono i canoni dell’architettura il peso sta in
alto sorretto da sottili lamine di acciaio, la struttura sembra in
bilico, sta per colassare, la tensione visiva è palese, le forme
sono spigolose e irregolari, le gerarchie sono sovvertite.
La
lamiera piegata potrebbe supporre si trattasse di una saetta che
scuote all’improvviso la calma apparente della periferia di
Rotterdam.
Ma
il successo arriva con la costruzione di un attico a Vienna nella
Falkestrasse, l’iter costruttivo è lungo dal 1983 al 1989 anno di
consacrazione alla mostra del Moma di cui abbiamo detto. Qui ci
troviamo davanti ad una ala di pipistrello che sporge dalla copertura
di un palazzo viennese (fig. 5).
De
Sessa parla di questa architettura come di una tenda simbolo del
nomadismo, della transitorietà, di tensione verso l’altrove, “la
dinamicità come cifra caratterizzante della storia”. In una
prospettiva molto simile al modo di abitare degli igloo di Mario Merz
sospese tra bolle di sapone, nuvole sempre tese nella loro
plasticità.
Le
forme sono spigolose, con geometrie irregolari proprie
dell’architettura decostruttivista, ma con dei distinguo. Non si
puo parlare di decostruttivismo se non si cita il filosofo francese
Derrida, cui si deve la paternità e il successo globale del suo
pensiero, in questi ultimi anni passato di moda e divenuto ormai
storia della filosofia. Il pre-testo di Derrida prevedeva un senso
solo a partire da un testo detto da altri, poteva essere un romanzo,
un aforisma, una poesia, un saggio, un quadro su ci fondare il
discorso. De-costruirlo con una tecnica simile allo strutturalismo e
creare nuovi orizzonti di senso da questa decostruzione, che a sua
volta poteva essere interpretato e ri-de-costruito.
Nei
Coop Himmelb(l)au abbiamo invece un qualcosa di più. Il loro
processo creativo che, divenuto leggendario per certi versi, si
distanzia dal mero pre-testo.
Davanti
al foglio bianco nell’horror vacui cui ogni progettista è soggetto
all’inizio del percorso progettuale: “”Prix e Swiczinsky si
isolano in un limbo prearchitettonico ancora immune da metri quadri o
funzioni per riversare sul foglio il loro stato d’animo e disporre
di una crittografia da decifrare progressivamente”. I Coop
Himmelb(l)au riducono a zero i legami legati all’architettura,
siano essi di tipo urbanistico, metrico, economico, sociale o
estetico, e lasciano che il gesto del primo schizzo sia più libero
possibile, come Pollock, dipingeva con il solo gesto del dripping per
essere il più libero possibile da qualsiasi costrizione potesse
limitare la sua libertà pittorica.
Celebre
la “leggenda” secondo la quale di Coop Himmelb(l)au disegnassero
i loro schizzi a occhi bendati. Da questa prima fase liturgica del
gesto progettuale, prende il via una serie di elaborazioni e
revisioni del progetto per renderlo, prima attraverso un modello, poi
attraverso altri disegni il più possibile costruibile.
È
là che si gioca tutta l’opera dei Coop Himmelb(l)au rendere
fattibile un’idea, un gesto. Il tutto ha come risultato
un’architettura in tensione, che è parte del caos, “Noi
rifiutiamo il postmoderno, completamente avulso dalla realtà. Noi
rifiutiamo questo tipo di architettura, rilassante e priva di
tensioni.” afferma Prix in un’intervista. E ancora: “”la
nostra architettura parte da una completa libertà da regole e
codici. Non ci interessa la bellezza ma la vitalità e la tensione.”
“Vitalità
e tensione” siamo nella sfera del Dionisiaco, nel regno
dell’irrazionale, nel mondo che rifiuta il realismo cartesiano. Ma
tutto questo implica una serie di conseguenze, il rapporto con la
storia ad esempio. L’atteggiamento è Nietzscheano, di
condanna dell’eccesso di storia, non la storia, la genuflessione al
passatocome archivio
sacro da cui attingere per il moderno. Il gruppo considera la storia
con una certa spregiudicatezza formale, crea fratture e strappi, per
rendere ciò che il moderno non è ancora riuscito a raggiungere, una
vera architettura contemporanea. Dice ancora Prix “”la cultura
del XIX secolo era basata su concetti di tipo additivo: la somma di
uno più uno era sempre due. Oggi, nell’epoca della teoria del
caos, questo non è più vero: possiamo dire che uno più uno fa
otto.” E se due più due fa otto ecco che anche il contesto viene
rifiutato, il progetti di Coop Himmelb(l)au diventano talvolta
giganteschi, dominano il paesaggio, il “segno” del progettista è
molto forte. Strutture jurassiche come il Musee de Confluences a
Lione (fig. 6,7), mettono in scena la compresenza di due volumi: un
corpo di cristallo e una nuvola fluttuante aerea, ritorna il tema
della nuvola.
Prix
che dal 2006 è rimasto solo a condurre i Coop Himmelb(l)au per
problemi di salute di Helmut Swiczinsky ha abbandonato lo
studio, cita spesso una frase dell’Amleto:
Amleto:
“Vedete quella nuvola lassù, che sembra quasi un cammello?”.
Polonio: “Santi numi, davvero somiglia a un cammello”. Amleto:
“Mi par che somigli a una donnola”. Polonio: “Ha un dorso come
di donnola”. Amleto: “O come una balena?”. Polonio: “Proprio
così, una balena”. È sta proprio in questo passo la difficile
classificazione della forma del Musee de Cofluences. Un forma che
muta a seconda della collocazione, una “nuvola” sospesa che mette
in crisi qualsiasi tipo di gerarchia si diceva, e la città scorre
attraverso, rendendo labili i confini tra interno ed esterno, tra ciò
che sostiene ed è sostenuto.
Nelle
ultime opere dei Coop Himmelb(l)au le forme sono divenute meno
spigolose, più arrotondate, più areodinamiche, nel complesso BMW
Welt a Monaco in Germania, costruito tra il 2001 e il 2007 (fig.
8,9), la copertura ricorda ancora una volta una nuvola, mentre
l’attenzione si concentra sul doppio cono che sostiene il tetto e
al cui interno corre una rampa spiraliforme da cui si diramano i
flussi nelle diverse zone dell’edificio.
Non
è solo un centro di vendita delle note automobili, ma un mix
funzionale di aziende, spazi comunicativi e di intrattenimento,
laboratorio di tecnica e di design, sale per esposizioni, ristoranti
e bar: “in un edificio tra l’antica piazza del mercato e un palco
per spettacoli”.
In
conclusione segnaliamo tre progetti ancora rimasti sulla carta: il
Parlamento di Tirana, un concorso vinto dai Coop Himmelb(l)au nel
2011, nel quale si proponeva nel sedime del mausoleo piramidale di
Hoxa destinato alla demolizione, un complesso governativo denominato
Open Parliament (fig. 10,11).
Fig.
10 Parlamento dell’Albania, Tirana Modello
Fig.
11Parlamento dell’Albania, Tirana Render della sala parlamentare
Una
sala parlamentare totalmente trasparente in cui si evocano i valori
democratici della apertura, della trasparenza, della
compartecipazione. Un forte contrappasso nel modo di percepire le
istituzioni, la trasparenza usata dal regime per spiare all’interno
delle case (gli edifici del regime non a caso erano senza persiane e
scuri) si traforma in valore democratico, il “palazzo”
pasoliniano dialoga fisicamente con la città.
Il
secondo progetto che segnaliamo è l’Arvo Pärt Sound Cloud, in
Estonia, dedicato al compositore musicista minimalista Arvo Pärt.
Questa volta il pre-testo origine del progetto è un brano del
compositore “Spiegel im Spiegel” il cui spettogramma
del suono (fig. 12,13) viene materializzato in copertura.
Si
crea uno spazio poetico all’interno di un bosco in cui risiede la
memoria del compositore, in un bilanciamento perfetto del suono,
controllato da un’acustica molto studiata.
L’ultimo
progetto è più un’idea sulla crescita urbana, presentato alla
biennale veneziana del 2008, e ora in fase di studio, interseca il
funzionamento del cervello con la crescita della città. Alcuni studi
di Wolf Singer, un neoroscienziato statunitense, indagano le
possibili analogie tra i meccanismi della nostra mente e quelli della
crescita urbana. Un nuovo campo di sperimentazione cui Wolf Prix e il
suo team si stanno cimentando con in l’entusiasmo dei primi anni.
Bibliografia:
Cesare
De Sessa, Coop Himmelb(l)au. Spazi atonali e ibridazione linguistica,
Universali di Architettura, To 1996
Gabriele
Neri, Coop Himmelb(l)au, L’architettura i protagonisti, la
Biblioteca di Repubblica, Mi 2013
Darò
Mattia, Zamponi Beatrice, Coop
Himmelb(l)au, Edilstampa
Roma 2004
Laura
Aquili, Ergian Alberg, “Sotto il segno di una grande nuvola”,
in
L’arca n.219, 2006.
Chiara
Baglione, “Il cristallo e la nuvola”, in Casabella n. 760, 2007












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