venerdì 20 marzo 2020

Il gioco dell’architettura. Wittgenstein e la casa a Vienna.


Il gioco dell’architettura. Wittgenstein e la casa a Vienna.




Nella Vienna di inizio secolo vi erano grandi movimenti culturali ed artistici, Karl Kraus, Schoenberg, Klimt, Boltzmann solo per citarne alcuni in ambiti diversi sono i veri protagonisti della capitale asburgica.
Ma una figura particolare spicca su tutte: Ludwig Wittgestein filosolo, intellettuale e anche architetto. Figlio di un ricchissimo magnate viennese, Karl, imprenditore di successo nel campo dell’acciaieria, Ludwig avrà una vita difficile ma intensa.
Era il più giovane di sette fratelli, di cui tre morti suicidi in giovane età e il più noto fu Paul il quale pur avendo perso il braccio destro divenne un pianista di successo e commissionò un’opera per pianoforte per una sola mano a Richard Strauss e Maurice Ravel il famoso Concerto per mano sinistra.
La formazione di Ludwig fu prettamente scientifica, studiando ingegneria a Linz, occupazione fortemente voluta dal padre. In casa Wittgestein si respirava fortissima l’aria colta della musica viennese, non solo il padre era assiduo frequentatore dei musicisti viennesi, ma anche le figlie avevano intrapreso la carriera musicale. Come Ludwig Wittgestein sia arrivato alla filosofia è cosa poco nota, sappiamo che conosceva l’opera dei suoi contemporanei viennesi Weininger, Kraus e Loos di cui era amico personale. Ammirava Tolstoj e Kiekegaard e ammetteva di essere stato influenzato dal libro di Oswald Spengler Il tramonto dell’Occidente.
La costruzione della casa per la sorella Margaret arriva in un periodo piuttosto buio per Wittgestein, nel 1921 riuscì a pubblicare la sua prima e forse insuperata opera il Tractatus Logico-Philofophicus, grazie soprattutto all’aiuto di Bertrand Russell, che credette subito in lui e stabilì un sodalizio che purtroppo per il carattere forte di Ludwing e soprattutto perchè le sue idee si scostavano da quelle del “maestro” Russell, durò solo pochi anni. La pubblicazione del Tractatus segnò una svolta in Wittgestein convinto con quel libro “di aver definitivamente risolto nell’essenziale i problemi”, con uno scatto d’orgoglio forse pari a quello di Hegel che considerava morta qualsiasi filosofia dopo la sua, decise di cambiare vita e dedicarsi all’insegnamento alle scuole elementari. Fu un esperienza forte quella dell’insegnamento che tuttavia si concluse per difficoltà di convivenza con colleghi e superiori, e per il metodo troppo innovativo di insegnamento di Wittgestein: leggiamo alcuni passi da una lettera della sorella Hemine: “Per molti aspetti Ludwig è un maestro nato; tutto lo interessa e sa ricavare da tutto l’essenziale e renderlo chiaro. Ebbi io stessa un paio di volte l’occasione di osservare Ludwig insegnare (…); era per noi tutti una grande gioia, egli non esponeva soltanto cercava di condurre i bambini alla giusta soluzione per mezzo di domande.”
Alcuni critici hanno letto in questa esperienza un avvicinarsi al mondo ciò un mettere in pratica le idee del Tractatus e vedere se erano applicabili alla vita reale, io non sono d’accordo su questo penso sia un unicum la vita di Wittgestein una continua ricerca sul mondo reale e quello intellettuale. Dopo l’esperienza come insegnante finita male Wittgestein, si mise a fare il giardiniere in un convento di frati e sembrava prossima una sua conversione alla vita monastica, ma la sorella Margaret vedendolo così affranto e demotivato lo affiancò nella progettazione della sua casa sulla Kundmangasse questo è quanto si evince da una lettera della sorella Margaret che cercava un mezzo terapeutico delle turbe di Ludwing derivate dalla guerra. Tuttavia esiste una lettera scritta nel 1925 da Ludwig stesso dalla quale si capisce la sua ferma volotà di partecipare alla progettazione della casa assieme alla sorella e all’achitetto incaricato per l’opera Paul Engelmann. Costui era allievo di Loos e inserito nell’alta società viennese, per l’altra sorella Hamine aveva già arredato egregiamente un suo appartamento. Fu una collaborazione molto stretta fra Engelmann e Wittgestein che alla fine prese lui tutte le decisioni con una caparbietà e una precisione febbrile.
Ludwig si appassionò molto all’architettura come formazione propria e sul mondo, arrivò a dire: “Il lavoro sulla filosofia – come spesso il lavoro in architettura – è in verità più di un lavoro su se stessi, sul proprio modo di pensare; sul proprio modo di vedere le cose. (E su ciò che ci aspettiamo da esse). “
Furono due anni intensi per Wittgestein: “quando stavo costruendo la casa per mia sorella ero talmente esausto alla fine della giornata che tutto quello che potevo fare era andare a vedere un film”. Una appassionata avventura che lo vide interfacciarsi con la committente, sua sorella molto esigente, il progettista incaricato Paul Engelmann e le ditte costruttrici, tra l’altro sempre pronte a seguire i piccoli spostamenti di qualche centimetro della casa. Famoso è quel ribassamento di tre centimetri del solaio quando era già stato costruito e si è dovuto smantellarlo e riadattalo alle esigenze di Ludwig.
Tuttavia a differenza di molti critici noi siamo con quelli che non considerano la casa per la sorella il teorema pietrificato del Tractatus logicus-philosophicus. Scrive Amendolagine: “Percorrere oggi la Kundmangasse, che porta al piccolo ingresso pedonale della casa n. 19, con il Tractatus in mano, scandendone i paragrafi come se ci trovassimo di fronte ad un “immattonimento” è un errore che rivela immediatamente i suoi limiti metodologici”. La casa non è una pura forma logica concretizzatasi come la definisce nei ricordi la sorella Hermine.
Da fuori ricorda subito l’influenza delle case loosiane (fig 1,2,3) e del movimento moderno, priva di ornamenti, con gli spigoli vivi, le scossaline quasi invisibili per poter risaltare i volumi puri dell’edificio;
                                     Fig. 1 Casa Wittgenstein


                                          Fig. 2 Casa Wittgenstein
                                   Fig. 3 Casa Wittgenstein, Ingresso.


ma entrando si percepisce subito la distanza da Loos (fig.4), i percorsi loosiani sono tortuosi, quelli di Wittgestein sono molto schematici.
                                            Fig. 4 Casa Wittgenstein. Pianta e sezione.
L’atrio è il centro della composizione, l’unico locale con pilastri la cui sommità rivela un’assenza: si assotiglia, quasi uno schiaffo al capitello gotico. La struttura portante è a vista nell’atrio, quasi una rievocazione del primitivo trilite. I materiali sono poveri potremmo dire senza qualità , anche qui la distanza da Loos è notevole, lui sostituiva i materiali all’ornamento, in villa Muller le venature del marmo diventano ornamento. La casa Wittgestein presuppone una lettura lenta ed attenta, egli dice:”Talvolta una proposizione può essere compresa solo leggendola col ritmo giusto. Le mie proposizioni vanno lette tutte lentamente”. “perchè vorrei essere letto lentamente”. Un elogio della lentezza.
Il filosofo si accorge subito del gioco compositivo della progettazione è molto simile al gioco linguistico, ci sono delle regole da rispettare. La casa segue la regola della simmetria, ma non di tutta la casa di ogni stanza, ogni locale deve essere simmetrico (fig. 5), e lo sforzo di Wittgestein sta nel perseguire questa regola, ma si rende conto che una stanza influenza quella attigua, la sua disposizione non regge a quelle che sono le intenzioni. E qui ci troviamo di fronte all’empasse “non, v’è tra volontà e mondo una connessione logica che garantisca ciò”.


                                      Fig. 5 Casa Wittgenstein. Simmetrie interne.
Il fatto progettuale e il fatto costruttivo si scontrano, la volontà di seguire una regola si scontra con il mondo con i fatti accidentali. Nel progetto spesso si incorre in contraddizioni, la regola ha bisogno di nuove regole per non essere contraddetta, (vedi termosifone ad angolo fig. 6) e risolta.

Fig. 6 Casa Wittgenstein. Dettaglio termosifone ad angolo.
A mio avviso la contraddizione viene esplicitata non risolta, come nelle fughe della pavimentazione dell’atrio (fig. 7) in cui la simmetria viene sorretta con fatica pur rivelando alcune contraddizioni.
                             Fig. 7 Casa Wittgenstein. Pavimentazione dell’atrio.
Questo scarto tra progetto e mondo Wittgestein lo esemplifica nell’aforisma: “il mondo è indipendente dalla mia volontà”. E, mentre Daniele Pisani nell’ultimo libro “L’architettura è un gesto” afferma giustamente che “la casa insegna che al massimo rigore corrisponde la contraddizione tra le diverse regole”, Amedolagine nel saggio La casa di Wittgestain a mio avviso non se ne discosta molto citando a sua volta un aforisma di Wittgestain “Le regole sono istituzioni per il gioco, e fintanto che io posso giocare, esse devono essere in ordine. Esse cessano di essere in ordine non appena io non posso più applicarle; fintanto che io posso giocare non v’è alcun problema”.
Infine la lettura che Pisani fa della casa pur nella sua scientificità pecca a mio avviso di troppo meccanicismo, è lo stesso Wittgestein che mette in guardia: “individuare un meccanismo è solo trovare una concomitanza. Si potrebbe provare che nessuno mai ha individuato un meccanismo senza aver avuto esperienze di un certo tipo. Si potrebbe esprimere questo nella forma “tutto si riduce a concomitanza”.

Bibliografia:

Ludwig Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, ed. Einaudi Torino 1989.

Ludwing Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi 1980

A. Janil-S. Toulmin, La grande Vienna,Garzanti, 1975

Daniele Pisani, L’architettura è un gesto, Quodlibet Studio, 2011

F. Amendolagine- M. Cacciari, Oikos da Loos a Wittgenstein, Officina edizioni, 1975

Th. Bernhard, Il nipote di Wittgestein, Adelphi, 1989


lunedì 23 settembre 2019

Coop Himmelb(l)au… Strane nuvole.


Coop Himmelb(l)au… Strane nuvole.




Ancora una volta fu grazie alla celeberrima mostra sul Decostruttivismo voluta da Philip Johnson e Mark Wingley al Moma che i Coop Himmelb(l)au furono annoverati al gotha delle achistar. In quella mostra erano presenti la prima casa di Ghery, i college di Libeskind, le ipotesi urbane di Koolhaas, Eisemman, la Hadid, e Tschumi, tutti accomunati da un’architettura fatta di forme libere, geometrie complesse e irregolari, e da una rivolta nei confronti del “fare” architettonico in modo accademico, classico e storico.
I Coop Himmelb(l)au erano una cooperativa di progettisti nati nel 1968 da Wolf D. Prix, Helmut Swiczinsky e Michael Holzer, che si prefiggevano di rivoluzionare la pratica professionale. Sospesi tra arte e architettura, pensavano ad una contaminazione tra le due discipline, ed ogni loro gesto performativo si muoveva nella città di Vienna, i cui Azionisti Viennesi stavano dando una grossa scossa all’arte contemporanea.
Facevano parte della cosidetta architettura radicale, etichetta che mischiava design e arte concettuale, ingegneria e fantascienza, performance e contestazione studentesca. I Coop Himmelb(l)au assieme ai Italiani Achizoom, Superstudio, Ufo; gli austriaci Haus-Rucker-Co e Missing Link; non pensarono ad uno studio ma ad una cooperativa tipico degli ideali socialisti del periodo, cooperazione, scambio di idee, dialogo tra diversi punti di vista. Da subito il loro nome rimanda al cielo e all’azzurro che in italiano si potrebbe tradurre: “la cooperativa del blu del cielo” se lasciamo la “l” tra parentesi, e se la togliamo diventa: “la cooperativa del costruire in cielo” (bauen=costruire).
E proprio dal cielo le loro prime performance presero spunto, le nuvole, (fig. 1) un elemento che li accompagnerà per tutto il loro lavoro architettonico saranno le principali fonti di ispirazione.


Fig. 1 Performance a Vienna.


I loro primi progetti sono fatti d’aria, si tratta di piccoli moduli abitativi di plastica gonfiabili, all’occorrenza da mettere in una valigia. The cloud e Villa Rosa (fig. 2,3) i loro primi esperimenti progettuali.








Fig. 2. The cloud. Modello





 Modello.Fig. 3 Villa Rosa. Progetto.




Bisogna però attendere un pò di anni perchè il successo dei Coop Himmelb(l)au si consolidi e diventino esse stesse icone di uno stile e paladini di una certa architettura del neoconsumismo.
È nell’1988 che progettano una scultura spaziale a Rotterdam in cui già sono presenti molte tematiche del gruppo, (fig. 4) in questa scultura, si sovvertono i canoni dell’architettura il peso sta in alto sorretto da sottili lamine di acciaio, la struttura sembra in bilico, sta per colassare, la tensione visiva è palese, le forme sono spigolose e irregolari, le gerarchie sono sovvertite.
Fig. 4 Scultura Spaziale. Rotterdam
La lamiera piegata potrebbe supporre si trattasse di una saetta che scuote all’improvviso la calma apparente della periferia di Rotterdam.
Ma il successo arriva con la costruzione di un attico a Vienna nella Falkestrasse, l’iter costruttivo è lungo dal 1983 al 1989 anno di consacrazione alla mostra del Moma di cui abbiamo detto. Qui ci troviamo davanti ad una ala di pipistrello che sporge dalla copertura di un palazzo viennese (fig. 5).
Fig. 5 Attico a Falkestrasse, Vienna. 1989

De Sessa parla di questa architettura come di una tenda simbolo del nomadismo, della transitorietà, di tensione verso l’altrove, “la dinamicità come cifra caratterizzante della storia”. In una prospettiva molto simile al modo di abitare degli igloo di Mario Merz sospese tra bolle di sapone, nuvole sempre tese nella loro plasticità.
Le forme sono spigolose, con geometrie irregolari proprie dell’architettura decostruttivista, ma con dei distinguo. Non si puo parlare di decostruttivismo se non si cita il filosofo francese Derrida, cui si deve la paternità e il successo globale del suo pensiero, in questi ultimi anni passato di moda e divenuto ormai storia della filosofia. Il pre-testo di Derrida prevedeva un senso solo a partire da un testo detto da altri, poteva essere un romanzo, un aforisma, una poesia, un saggio, un quadro su ci fondare il discorso. De-costruirlo con una tecnica simile allo strutturalismo e creare nuovi orizzonti di senso da questa decostruzione, che a sua volta poteva essere interpretato e ri-de-costruito.
Nei Coop Himmelb(l)au abbiamo invece un qualcosa di più. Il loro processo creativo che, divenuto leggendario per certi versi, si distanzia dal mero pre-testo.
Davanti al foglio bianco nell’horror vacui cui ogni progettista è soggetto all’inizio del percorso progettuale: “”Prix e Swiczinsky si isolano in un limbo prearchitettonico ancora immune da metri quadri o funzioni per riversare sul foglio il loro stato d’animo e disporre di una crittografia da decifrare progressivamente”. I Coop Himmelb(l)au riducono a zero i legami legati all’architettura, siano essi di tipo urbanistico, metrico, economico, sociale o estetico, e lasciano che il gesto del primo schizzo sia più libero possibile, come Pollock, dipingeva con il solo gesto del dripping per essere il più libero possibile da qualsiasi costrizione potesse limitare la sua libertà pittorica.
Celebre la “leggenda” secondo la quale di Coop Himmelb(l)au disegnassero i loro schizzi a occhi bendati. Da questa prima fase liturgica del gesto progettuale, prende il via una serie di elaborazioni e revisioni del progetto per renderlo, prima attraverso un modello, poi attraverso altri disegni il più possibile costruibile.
È là che si gioca tutta l’opera dei Coop Himmelb(l)au rendere fattibile un’idea, un gesto. Il tutto ha come risultato un’architettura in tensione, che è parte del caos, “Noi rifiutiamo il postmoderno, completamente avulso dalla realtà. Noi rifiutiamo questo tipo di architettura, rilassante e priva di tensioni.” afferma Prix in un’intervista. E ancora: “”la nostra architettura parte da una completa libertà da regole e codici. Non ci interessa la bellezza ma la vitalità e la tensione.”
Vitalità e tensione” siamo nella sfera del Dionisiaco, nel regno dell’irrazionale, nel mondo che rifiuta il realismo cartesiano. Ma tutto questo implica una serie di conseguenze, il rapporto con la storia ad esempio. L’atteggiamento è Nietzscheano, di condanna dell’eccesso di storia, non la storia, la genuflessione al passatocome archivio sacro da cui attingere per il moderno. Il gruppo considera la storia con una certa spregiudicatezza formale, crea fratture e strappi, per rendere ciò che il moderno non è ancora riuscito a raggiungere, una vera architettura contemporanea. Dice ancora Prix “”la cultura del XIX secolo era basata su concetti di tipo additivo: la somma di uno più uno era sempre due. Oggi, nell’epoca della teoria del caos, questo non è più vero: possiamo dire che uno più uno fa otto.” E se due più due fa otto ecco che anche il contesto viene rifiutato, il progetti di Coop Himmelb(l)au diventano talvolta giganteschi, dominano il paesaggio, il “segno” del progettista è molto forte. Strutture jurassiche come il Musee de Confluences a Lione (fig. 6,7), mettono in scena la compresenza di due volumi: un corpo di cristallo e una nuvola fluttuante aerea, ritorna il tema della nuvola.
Fig. 6 Musèe de Confluences.


Prix che dal 2006 è rimasto solo a condurre i Coop Himmelb(l)au per problemi di salute di Helmut Swiczinsky ha abbandonato lo studio, cita spesso una frase dell’Amleto:
Amleto: “Vedete quella nuvola lassù, che sembra quasi un cammello?”. Polonio: “Santi numi, davvero somiglia a un cammello”. Amleto: “Mi par che somigli a una donnola”. Polonio: “Ha un dorso come di donnola”. Amleto: “O come una balena?”. Polonio: “Proprio così, una balena”. È sta proprio in questo passo la difficile classificazione della forma del Musee de Cofluences. Un forma che muta a seconda della collocazione, una “nuvola” sospesa che mette in crisi qualsiasi tipo di gerarchia si diceva, e la città scorre attraverso, rendendo labili i confini tra interno ed esterno, tra ciò che sostiene ed è sostenuto.
Nelle ultime opere dei Coop Himmelb(l)au le forme sono divenute meno spigolose, più arrotondate, più areodinamiche, nel complesso BMW Welt a Monaco in Germania, costruito tra il 2001 e il 2007 (fig. 8,9), la copertura ricorda ancora una volta una nuvola, mentre l’attenzione si concentra sul doppio cono che sostiene il tetto e al cui interno corre una rampa spiraliforme da cui si diramano i flussi nelle diverse zone dell’edificio.
Fig. 8 BMW Welt Monaco, esterno
Fig. 9 BMW Welt Monaco, interno
Non è solo un centro di vendita delle note automobili, ma un mix funzionale di aziende, spazi comunicativi e di intrattenimento, laboratorio di tecnica e di design, sale per esposizioni, ristoranti e bar: “in un edificio tra l’antica piazza del mercato e un palco per spettacoli”.
In conclusione segnaliamo tre progetti ancora rimasti sulla carta: il Parlamento di Tirana, un concorso vinto dai Coop Himmelb(l)au nel 2011, nel quale si proponeva nel sedime del mausoleo piramidale di Hoxa destinato alla demolizione, un complesso governativo denominato Open Parliament (fig. 10,11).

Fig. 10 Parlamento dell’Albania, Tirana Modello


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Fig. 11Parlamento dell’Albania, Tirana Render della sala parlamentare


Una sala parlamentare totalmente trasparente in cui si evocano i valori democratici della apertura, della trasparenza, della compartecipazione. Un forte contrappasso nel modo di percepire le istituzioni, la trasparenza usata dal regime per spiare all’interno delle case (gli edifici del regime non a caso erano senza persiane e scuri) si traforma in valore democratico, il “palazzo” pasoliniano dialoga fisicamente con la città.
Il secondo progetto che segnaliamo è l’Arvo Pärt Sound Cloud, in Estonia, dedicato al compositore musicista minimalista Arvo Pärt. Questa volta il pre-testo origine del progetto è un brano del compositore “Spiegel im Spiegel” il cui spettogramma del suono (fig. 12,13) viene materializzato in copertura.
Fig. 12. Arvo Part Sound Cloud.
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Fig. 13. Arvo Part Sound Cloud, spettogramma della partitura.
Si crea uno spazio poetico all’interno di un bosco in cui risiede la memoria del compositore, in un bilanciamento perfetto del suono, controllato da un’acustica molto studiata.
L’ultimo progetto è più un’idea sulla crescita urbana, presentato alla biennale veneziana del 2008, e ora in fase di studio, interseca il funzionamento del cervello con la crescita della città. Alcuni studi di Wolf Singer, un neoroscienziato statunitense, indagano le possibili analogie tra i meccanismi della nostra mente e quelli della crescita urbana. Un nuovo campo di sperimentazione cui Wolf Prix e il suo team si stanno cimentando con in l’entusiasmo dei primi anni.

Bibliografia:
Cesare De Sessa, Coop Himmelb(l)au. Spazi atonali e ibridazione linguistica, Universali di Architettura, To 1996
Gabriele Neri, Coop Himmelb(l)au, L’architettura i protagonisti, la Biblioteca di Repubblica, Mi 2013
Darò Mattia, Zamponi Beatrice, Coop Himmelb(l)au, Edilstampa Roma 2004
Laura Aquili, Ergian Alberg, “Sotto il segno di una grande nuvola”, in L’arca n.219, 2006.
Chiara Baglione, “Il cristallo e la nuvola”, in Casabella n. 760, 2007

martedì 29 maggio 2018

Costruttivismo Russo.




Dopo la rivoluzione d'Ottobre, che aveva visto la fine del comunismo di guerra, una forte e violenta aria di cambiamento incombeva su tutta la Russia di inizio secolo. Si imponeva il cambiamento non solo formale ma reale. L'avanguardia artistica Russa era nel 1917 nel pieno della sua capacità creativa, Malevic col suo “Quadrato nero su fondo bianco” aveva rotto quel patto mimetico che l'arte aveva con la realtà e la natura, era arrivato vicino al grado zero della pittura, ad un arte autoreferenziale vicina al nulla con l'evoluzione del quadrato nero su sfondo bianco: il quadrato bianco su sfondo bianco.(fig. 1-2)

Fig. 1 Malevic, Quadrato nero su fondo bianco, 1915

Fig. 2 Malevic, Quadrato Bianco su fondo Bianco, 1918




 Questa fase anticipatrice del mondo nuovo, aveva però il risvolto nella costruzione architettonica, estremamente funzionale e tecnica. Lo stile architettonico della Russia pre-rivoluzionaria era ancora fortemente legato al formalismo e al manierismo dell'800. Un'accozzaglia di revival di stili talvolta in un unico palazzo rendeva difficile la comprensione compositiva. La rivoluzione imponeva nuove forme più moderne e adatte a quell'uomo nuovo socialista che stava nascendo. Certo l'arretratezza culturale della popolazione russa era molto elevata e si imponeva un cambiamento sociale. Un gruppo di architetti: Moisej Jakovlevič Ginzburg, Burov, Andrej Konstantinovič, Georgij Orlov e i fratelli Leonid, Viktor e Aleksandr Vesnin fondarono la Società di Architetti Contemporanei (OSA in russo), grazie al periodico bimestrale "Sovremennaja Arkhitektura" Architettura contemporanea, riuscirono a divulgare il proprio messaggio sull'architettura moderna, anche e soprattutto fuori dai confini sovietici in cui la cultura architettonica era ancora abbarbicata alle scuole accademiche. Scopo dell'associazione era innanzi tutto il rifiuto dell'arte per un'architettura intesa come costruzione “materiale del socialismo”. La rivista ebbe ampia diffusione anche al di là della Russia in anni in cui si stava costruendo quel movimento dell'architettura moderna che è il funzionalismo i cui eroi sono: Le Corbusier, Mies van Der Rohe, Gropius, Oud, Loos, Meyer ecc. ecc. Alcuni di essi scrissero per  “Sovremennaja Arkhitektura” alcuni articoli.
Sul piano urbanistico l'Unione Sovietica offriva una possibilità che nell'occidente non c'era, la possibilità di costruire città ex novo vicino a fabbriche e miniere, si impose un dibattito anche in questo senso: da una parte gli urbanisti, dall'altra i disurbanisti. Quest'ultimi erano la maggior parte del gruppo dell'OSA, con una visione forse più “umana” del vivevere. Contrari al super collettivismo degli urbanisti attenti ad una visione fortemente influenzata al vivere in comune condividendo servizi igienici e cucine (mense), i disurbanisti proponevano una visione più privata e individuale. Entrambi le fazioni tendevano ad eliminare quella contraddizione che già Engels aveva denunciato tra città e campagna. Non solo le nuove città dovevano essere lineari e industriali, ma anche le cooperative agricole dovevano diventare piccole città. Per i disurbanisti il limite era di 40-50 mila abitanti a città. Si fecero strada un tipo edilizio tra gli urbanisti detto condensatore sociale, adatto a cambiare la società e dunque l'individuo ad un nuovo modello di vita. Tuttavia mentre questo assunto in alcuni scritti di Le Corbusier appare semplice e immediato, per i fondatori dell'OSA non è proprio così: la società russa, era, abbiamo detto poco scolarizzata e arretrata, non bastava inserirli in un condensatore socile per poter cambiare il proprio modus vivendi. Di questo si occuparono di membri dell'OSA e tramite la loro rivista cominciarono a ragionare essenzialmente su due tipologie di edifici: il club operaio e l'abitazione.
Il club operaio non era il famoso club borghese, in cui nel dopolavoro si giocava, si conversava e si beveva, ma era considerato come la nuova università popolare, un luogo di ritrovo creativo, cui si dava un'importanza formativa. Leggiamo alcune note dei fautori del club operaio: “Al suo interno tutte le età della massa lavoratrice devono poter ricrearsi e riposarsi dopo la fatica giornaliera, ricaricarsi d’energia”...”Compito del circolo è di rendere l’uomo libero, non di sopprimerlo, come in passato, attraverso la chiesa e lo stato”.
Siamo sul piano collettivo, se le abitazioni sono scarse di confort non così per i club che tendono a compensare questo scarto. Al club corrisponde un concetto di cultura di massa diverso dall’abitare individuale in cui il cittadino sovietico era abituato a vivere. Siamo lontani dall’acquisizione della cultura nel silenzio del proprio studio, ma si impare in gruppo. La vita deve formarsi collettivamente.
Dal 1917 al 1925 il club viene sviluppato ovunque. Si sperimenta la tipologia di tale edificio che non ha ancora visto il suo carattere essenziale. Tra queste sperimentazioni il palazzo del lavoro dei fratelli Vesnin del 1923 è un immenso palazzo della cultura. È uno dei primi esempi di costruttivismo architettonico non più considerato come fenomeno disegnativo ma più che concreto. Il progetto dei fratelli Vesnin è costituito da un grande cilindro a base ellittica su cui si innesta una struttura a ponte che si collega ad un parallelepipedo di 16 piani. (fig. 3).

Fig. 3. Fratelli Vesnin 1923 Palazzo del lavoro disegno.


Evidente in questo progetto la metafora del transatlantico, come in “Vers une architecture” Le Corbusier tendeva a fondare su questo assunto il movimento moderno. Progettato per l’intera città di Mosca avrà un effetto propagandistico.
È a partire dal 1925 che il club operaio tenderà ad assumere un aspetto tipologico proprio, libero da ogni retaggio del passato sarà concepito collegato al quartiere e alla fabbrica e annesso al luogo di lavoro.
Uno dei progetti costruiti di questi club operai è il club Zuev costruito a Mosca da I. Golosov tutt’ora esistente e funzionante, altro esempio lampante di architettura costruttivista, (Fig. 4)
Fig. 4 I. Golosov, Club operaio Zuev. 



La struttura cilindrica inserita a risolvere l’angolo stradale ricorda tantissimo il Novocomun di Terragni costruito proprio in quegli stessi anni. E forse un sottile filo rosso accumuna questo nuovo modo di costruire che unisce Russia e Occidente.
E sono anche gli stessi temi che accumunano l'Est e l'Ovest, la ricerca tipologica dell'abitazione è uno di questi. In Russia come nel resto dell'Europa la fame di case era molta, si tendevano a costruire abitazioni collettive che però avessero delle caratteristiche private  e di intimità. Fino a quel periodo le case operaie erano totalmente indatte ad un tipo di vita decente.  Ancora una volta fu l’OSA a prendere l’iniziativa di un movimento di professionisti che ragionasse sulla casa, e soprattutto sull’abitazione operaia. Poichè la vita stava cambiando l’abitazione doveva adeguarsi al nuovo stile di vita, per un problema di riduzione dei costi non c’era altro che cambiare il modo di vita degli operai. Come abbiamo detto ci si orientò verso la casa comune, i sevizi e le cucine erano in comune. Il germe della nuova razionalità scientifica e funzionale dell'abitare era la cellula abitativa, spazio ancora privato dove sostanzialmente dormire e riposare. Ancora una volta fu la rivista SA a rilanciare il dibattito sulla cellula abitativa più funzionale e economica. Attraverso un’inchiesta sulla casa comune da una sezione degli autori di SA si approda a quelle che sono le cellule dello “Strojckom” una sperimentazione tipologica che avrà successo in tutto il movimento moderno. Ciò cui si tendeva era la trasformazione del modo di vita, si voleva la collettivizzazione ecco che la cucina quasi sparisce dalle cellule, si era tuttavia consapevoli che tale passaggio sociologico non era da un giorno all’altro ma imponeva un cambiamento graduale del modo di vivere, Ginzburg dirà”...Abbiamo considerato che era indispensabile studiare un certo numero di elementi che stimolassero il passaggio a forme di vita sociale superiore, CHE LO STIMOLASSERO MA CHE NON LO IMPONESSERO”. La cellula più funzionale è stata individuata come cellula di tipo F, un sistema Duplex con corridoio centrale molto simile all’Unitè d’abitation di Le Corbusier a Marsiglia, ma di dimensioni naturalmente più ridotte. Il corridoio illuminato direttamente doveva diventare il “luogo dove potranno svolgersi gli scambi sociali collettivi”. Con questa tipologia si arriva alla casa comune. Da dire che la privacy e l’intimità della famiglia che viveva in queste cellule tipologiche era salvaguardata. Siamo lontani da quella forma di vita supercollettivizzata che prevedeva alcuni anni dopo in Unione Sovietica la convivenza di più famiglie e la separazione dei figli dai genitori al fine di ottimizzare la carenza abitativa. Tra il 1928 e il 1930 ad opera di  Moisej Ginzburg e Ignatij Milinis si costruì il Narkomfin (fig.5), un edificio abitativo formato dalle cellule di tipo F. È considerato il maggior esempio di condensatore sociale ed è un esempio anche del costruttivismo russo.
fig. 5  Moisej Ginzburg e Ignatij Milinis Narkomfin, 1930




Attualmente in stato di abbandono dopo varie ristrutturazioni non sempre fedeli al progetto originario, pare si sia interessati ad un ripristino delle condizioni originarie. È uno dei 100 edificio del patrimonio Unesco in pericolo demolizione.
Dal 1920 al 1930 fu un periodo importantissimo per l'architettura moderna russa, e il suo costruttivismo, purtroppo troppo spesso ricordata per esempi eccessivi di supercollettivismo come il progetto fantasioso ed eccentrico di Kuzmin un architetto urbanista fautore della vita collettiva scandita da tempi rigidi di lavoro, e tempo libero, arrivando perfino a temporizzare il lavaggio delle mani o del vestirsi. A titolo di esempio vi propongo la tabella della vita quotidiana scandita ora per ora(fig 6).
Fig. 6 Dal libro Anatole Kopp, Città e rivoluzione, Feltrinelli 1972.


 Tutto ciò non può che farci sorridere e ripetiamolo per i critici del collettivismo  sarà una manna che affamerà i loro discorsi ridicolizzando e rendendo vane tutte quelle sperimentazioni serie sul problema della casa operaia che invece, noi abbiamo tentato di descrivere in questo blog.
Concludiamo queste pagine dicendo che il movimento dell'OSA, così come molti altri d'avanguardia artistica moriranno con l'avvento al potere di Stalin, che ridurrà l'architettura a enomi palazzi ridondanti di retorica socialista, recuperando quel modo manierista che sembrava ormai superato.



Bibliografia:

AAVV. A cura di Guido Cannella, SA SOVREMENNAJA ARKHITEKTURA 1926-1930 , Collana Architettura e Città ed. Dedalo, 2007

Anatole Kopp, Città e Rivoluzione, architettura e urbanistica sovietiche degli anni Venti, Campi del Sapere Feltrinelli, 1972

Vieri Quilici, L'architettura del costruttivismo, Universale Laterza, 1978




venerdì 18 agosto 2017

Silenziose trasparenze. La casa Farnsworth di Mies.

La casa Casa Farnsworth è il progetto d’abitazione più radicale di un maestro del movimento moderno quale è stato Mies Van Der Rohe. La casa infatti è all’interno di un bosco nella località di Plano ad un centinaio di chilometri da Chicago. Situata in una posizione molto prossima al fiume Fox, non è esente da frequenti allagamenti. Svincolata dalle variabili urbane l’opera si libera nello spazio quasi come un astronave appoggiata leggermente al suolo in modo da non intaccare con la sua presenza la natura. 
La committente era la dottoressa Edith Farnsworth una donna coltissima nefrologa e anche laureata in lettere, desiderava un’abitazione al di fuori del caos cittadino per i lunghi e noiosi week end fuori città. Quale miglior occasione per Mies per creare un eremo libero nel rigoglio della natura, coperto in ogni lato solo da verde e cielo. Il progetto fu presentato al Moma già nel 1947 come icona del Movimento Moderno. 
La dottoressa Farnsworth se ne innamorò, più del personaggio Mies che del progetto affermarono alcuni critici. I lavori per la casa iniziarono nel 1950 e furono terminati nel 1951, tuttavia visti l’aumento dei costi di costruzione e alcune difficoltà nell'abitare la casa vi fu una causa intentata dalla dottoressa Farnworth nei confronti di Mies. Lo scandalo e la cattiva pubblicità non fecero perdere la causa a Mies che amaramente la vinse. Molto è stato scritto su questa vicenda perfino che Mies avesse rifiutato le avance della dottoressa e lei le fece causa per negligenza riguardo ai costi di costruzione, ma sembra che dai diari della signora Farnsworth ciò non sia affatto vero. Fatto sta che la Edith ci visse ben 21 anni nella casa, ma finendo col far dire a Mies van Der Rohe: ”....la signora Farnsworth invece mi rimproverò di aver realizzato un’ossessione tipicamente maschile, fredda come il ghiaccio, e in quanto maschile non era abitabile soprattutto da una donna. E chiese in tutta serietà il risarcimento dei danni. Io dovetti dimostrare di non avere progettato una torre di Babele per la signora Farnsworth”. Ancora la dottoressa lamentava il fatto di non sentirsi libera di aggiungere neppure un gruccia sulla casa senza modificarne il paesaggio circostante.
Ma al di là delle cronache andiamo a vedere cosa rende speciale questo edificio. Esso si erge su due piattaforme, sollevato da terra come una palafitta, in totale rialzata di 2,2 metri dal livello del suolo, questo ha un aspetto funzionale ed estetico. Serve infatti nei periodi di piena del fiume Fox a preservarla dalle acque, e a non impattare sul terreno vergine lasciando la natura scorrergli attorno anche nel suolo. La casa è sostenuta da otto pilastri in acciaio colorati di bianco, il bianco è il colore principe della casa. La struttura è ben visibile dall'esterno, siamo nelle opere della maturità di Mies van Der Rohe, l’architetto ha preso consapevolezza che non esiste architettura e struttura separate, ma sono un tutt’uno. Scrive, a questo proposito il suo più fedele collaboratore L. Hiberseimer “Gli elementi strutturali diventano elementi architettonici; la distanza tra ingegneria e architettura è colmata; l’ingegnere , un tempo al servizio dell’architetto è qui un suo pari”. Non si nasconde nulla la struttura portate è palese e viene trasformata in architettura, il dettaglio chiude il cerchio. Mai prima d’ora vi era concessa una tale semplicità nell’opera, che tuttavia non si traduce in banalità. Gli elementi formano nuove relazioni e i materiali si mostrano per quello che sono già nel Padiglione di Barcellona questo concetto era stato magistralmente espresso. L’architettura di Mies è un’architettura poco soggettiva dice infatti lui stesso: “credo che l’architettura abbia poco o nulla a che fare con la ricerca di forme interessanti, o con le inclinazioni personali... è sempre oggettiva ed è l’espressione dell’intima struttura dell’epoca nel cui contesto si colloca”. Consapevole dell’importanza dei nuovi materiali quali il vetro, l’acciaio Mies cerca in essi e nel loro rapportarsi un che di spirituale. I vetri che chiudono la casa sono spessi 6 mm e i montanti che li reggono quasi non si vedono se non ad un occhio attento. Il rapporto con la natura è totale, la casa è molto vicina alla spiritualità delle case da te giapponesi, non c’è limite esterno-interno. “Quando la si ammira attraverso i vetri della casa Farnswoth la Natura assume un significato più profondo di quando la si osserva rimanendo all’esterno. Si manifesta così qualcosa in più della Natura, che diviene parte di un tutto più vasto”. Qui entriamo nella filosofia miesiana della natura, Mies non è mai stato un teorico ha scritto molto ma solo in appunti e note, senza darne una consistenza saggistica ai suoi scritti come d’altro lato ha fatto Le Corbusier durante tutta la sua vita. Ma qui ci fa capire l’importanza dell’uomo nella natura, oggi molti movimenti ambientalisti tendono quasi a nascondere e togliere l’uomo come parte della natura, per Mies no, uomo e natura sono inscindibili, grazie all’uomo che esalta la natura ed essa diventa spirituale “diviene parte di un tutto più vasto”, che è forse “il naufragar m’è dolce in questo mar” leopardiano?
Unico elemento opaco è lo spazio centrale dei servizi con due bagni nei lati corti e nei lati lunghi da una parte la cucina dall’altra il caminetto che da sul soggiorno. Tutta la casa è dotata di tende bianche che oscurano l’interno. Ma il carattere più peculiare è la trasparenza, dice Carlos Martì Arìs: “La trasparenza si avvicina a certe forme del silenzio. “infatti il silenzio può essere trasparente, transitivo, poichè permette all’opera di proiettarsi verso altre dimensioni della realtà che non sono esattamente in essa contenute”. Siamo infatti davanti all’architettura del silenzio, pacata, poco urlata, spirituale. Più la si studia e più la si vive più risulta interessante, vi è una certa modularità nella composizione, ma non è mai una griglia rigida, Mies si concede delle eccezioni e forse questo da vita all’opera.
Con questa casa Mies non solo a messo in evidenza i suoi concetti sull’architettura moderna ma ha anche mostrato un uso sapiente e consapevole dei materiali, così come per scrivere buona prosa bisogna sapere la grammatica: “"Se non conosci bene la grammatica non puoi parlare bene ne tanto meno comporre buona poesia", i materiali ed i dettagli sono la grammatica dell’architettura.
Tuttavia casa Farnsworth non è affatto una abitazione serena, la mancanza dell’aria condizionata, la vasta superficie trasparente rendeva la casa molto calda d’estate, e gli insetti del fiume la invadevano, inoltre permetteva poca privacy, la dottoressa Farnsworth la vendette nel 1972 a Lord Peter Palumbo, un magnate inglese interessato e collezionista di arte contemporanea. Aggiunse l’aria condizionata e mise sculture contemporanee attorno alla casa facendola diventare una vera e propria casa museo.
Oggi la casa è di proprietà di un gruppo di preservazionisti del luogo la National Trust for Historic Preservation, ed è stata decretata monumento storico nazionale degli Stati Uniti D’America.
Concludiamo questo excursus con le parole di Mies: "Penso che casa Farnsworth non sia mai stata veramente capita, sono rimasto in quella casa dalla mattina alla sera. Fino a quel momento non sapevo quanto la natura potesse essere colorata. Bisogna badare ad utilizzare toni neutri negli interni poichè fuori vi sono colori di ogni sorta. Questi colori cambiano in modo totale e continuo e vorrei dire che ciò è semplicemente magnifico".

Bibliografia:

Giovanni Leoni, Mies van Der Rohe in L’architettura i Protagonisti, la Biblioteca di Repubblica l’Espresso, 2007

Claire Zimmerman, Mies van der Rohe, ed. Taschen, 2016

Nicolas Adams, “Myron Goldsmith: Learning from the Farnsworth House” in Casabella 767 Giugno 2008

Dick Loan, “La casa Farnsworth, quando il rigore diventa poesia”, in Casabella 767 Giugno 2008.

Francesco dal Co, “I fatti e le circostanze della vita: la storia di casa Farnsworth”,
in Casabella 767 Giugno 2008.


Carlos Martì Arìs, Silenzi eloquenti, Christian Marinotti Edizioni, 2002.


Vista del retro

Vista dell'ingresso

Vista dell'ingresso.

La casa in autunno

Vista dell'interno

Dettaglio del pilastro a doppio T.